Secondo l'organizzazione violati i diritti delle donne e discriminati i medici non obiettori
"Le carenze esistenti nella fornitura di servizi di interruzione di gravidanza in Italia" fanno sì che "le donne che intendono accedere a tali servizi continuano a incontrare considerevoli difficoltà". E' quanto rileva il Consiglio d'Europa, in relazione a un ricorso presentato dalla Cgil. Inoltre, il Consiglio d'Europa sottolinea "che queste situazioni possono implicare rischi considerevoli per la salute e il benessere delle donne coinvolte". Dichiarando "il ricorso ammissibile", il Consiglio d'Europa ritiene che "le strutture sanitarie ancora non adottano le necessarie misure per compensare le mancanze del servizio fornito, causate dal personale medico che decide di invocare il suo diritto di obiezione di coscienza, o le misure adottate sono inadeguate". A tal proposito vengono ritenute responsabili "le autorità regionali di supervisione competenti". Quindi, rileva l'organizzazione, "esiste una violazione" del diritto di ricorrere all'aborto volontario, sottolineando la "discriminazione su base territoriale e di status socio-economico tra le donne incinte che hanno accesso all'aborto legale e quelle che non l'hanno". "Il diverso trattamento" legato alle zone geografiche, inoltre, "potrebbe per estensione avere un impatto negativo sulle donne dei gruppi a basso reddito che possono avere minori possibilità di viaggiare in altre parti d'Italia o all'estero per accedere ai servizi" di Ivg. "Non c'è alcuna giustificazione di salute pubblica o di politica pubblica per questa disparità di trattamento", afferma il Consiglio d'Europa, definendola una "discriminazione".
Per il Consiglio d'Europa, in Italia esiste "discriminazione" nei confronti dei medici che non ha scelto l'obiezione di coscienza all'aborto. "I medici non obiettori affrontano diversi tipi di svantaggi che si accumulano al lavoro, diretti e indiretti, in termini di carico di lavoro, distribuzione di incarichi, opportunità di carriere ecc".
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