Di Floriana Rullo

Torino, 4 dic. (LaPresse) – “Brigadiere, lei non mi ha toccato, ma perché non hai fermato il tuo collega che mi stava picchiando. Bastava dire Fermati”. “Fermarlo? Chi, a lui? No, se il mio collega te le dà io entri in cella e te le do pure io. Poi siamo in due a dartele. Anzi, sono stato più corretto: mi sono trattenuto e non te le ho date. Basta uno solo che te le dà”. Oppure “Con voi bisogna usare il bastone e la carota. la violenza, quella che dici tu, non é detto che sia solo quella fisica perchè il detenuto entra nel carcere ed esce più delinquente di prima. Non perché piglia gli schiaffi, o quantomeno, non solo: perché l’istituzione carcere, non funziona”.

Sono queste alcune delle registrazioni fatte da Rachid Assarag, detenuto marocchino quarantenne, che sta scontando una pena di 9 anni e 4 mesi per violenze sessuali in cella a Biella. Dialoghi avvenuti con agenti, medici, infermieri e che il detenuto ha catturato attraverso un registratore. Testimoniano le sevizie e le minacce che avrebbe subito in questi anni.

Tutto sarebbe iniziato nel carcere di Parma. E la prima denuncia parte proprio in quell’occasione: l’uomo viene assistito dall’avvocato Fabio Anselmo. Quello è però anche l’inizio del suo calvario per le carceri dell’Italia: ne gira undici per l’esattezza. Da Milano a Parma, da Prato a Firenze passando per Massa Carrara, Napoli, Volterra, Genova, Sanremo, Lucca e infine Biella. Sempre registrando cosa accade nella sua cella.

Storie di una detenzione fatta di percosse e botte. “L’altra volta mi hai fatto esaurire, ti eri nascosto perfino sotto il letto!- afferma un agente. “Perché mi volete picchiare!”. Risponde il detenuto. “Se ti volevamo picchiare, no? Era facile, ti pigliavamo, ti portavamo giù e ti picchiavamo”.

E ancora: “Devo uscire dal carcere più cattivo di prima? Dopo tutta questa violenza ricevuta, chi esce da qui poi torna”. La risposta è invece di smentirlo difende l’uso della violenza come metodo rieducativo. “Le botte? Con questi metodi noi abbiamo ottenuto risultati ottimi”.

E mentre Rachid si trova su una sedia a rotelle per via dello sciopero della fame che ha intrapreso nel carcere di Biella, le conversazioni sono state acquisite dai magistrati, e altre verranno acquisite nei prossimi giorni, il legale a La Presse afferma: “Quello raccontato nelle registrazioni è lo spaccato di vita carceraria vissuto da Rachid. I fatti sono gravissimi. In alcuni casi di parla anche delle morti dei detenuti. E per quello che ho sentito provo molta amarezza. Rachid sa di aver sbagliato, lo ripete sempre. Dice: Io ho sbagliato. Ho fatto errori gravi. Ma il carcere non mi può infliggere ulteriori punizioni – continua il legale – Sono preoccupato per salute di Rachid che ora si trova sulla sedie a rotelle per via dello sciopero della fame che ha iniziato per protestare contro i maltrattamenti subiti in questi anni. Senza contare che non è mai riuscito ad identificare i suoi aggressori”.

IL SAPPE: FARE CHIAREZZA. “Non so come possa essere possibile che un detenuto che sta scontando una pena a 9 anni e 4 mesi di reclusione per violenza sessuale possa, durante la sua permanenza in cella in vari carceri del Paese, tenere con sé un registratore con cui memorizzare frasi riferite, a suo dire, a persone non accertate e non identificate ma, a dire suo e del legale, appartenenti all’amministrazione penitenziaria”. Commenta così Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria. eve essere chiaro che la polizia penitenziaria è una istituzione sana – continua Capece – Queste accuse generiche, di cui si deve accertare anzitutto la veridicità e la reale consistenza, fanno male a coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della polizia penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l’esasperante sovraffollamento”.

A chiedere verifiche anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando che ha richiesto al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria un’eventuale attività ispettiva.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata