Enti, trattati e sanzioni: come funziona il rigido sistema britannico

Considerata come un modello da seguire, anche in questi giorni in cui il tema della violenza negli stadi e il razzismo nel mondo del calcio sono tornati d'attualità dopo i tragici fatti di San Siro, l'Inghilterra e la Premier League non sono esenti comunque esenti da simili problemi, emersi tra l'altro proprio nelle ultime settimane. Il Chelsea ad esempio è finito nell'occhio del ciclone prima per il caso Sterling (l'attaccante del City è stato insultato a sfondo razziale nel corso della partita a Stamford Bridge) e poi per cori antisemiti verso i rivali del Tottenham, squadra di tradizione ebraica, intonati durante la trasferta di Europa League con il Vidi. Dal club è arrivata una forte condanna, a cui si aggiunge l'idea – arrivata per bocca del presidente Buck – di mandare ai campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau i tifosi accusati di discriminazione. Il tifoso, il 60enne Colin Wing, reo di aver accusato Sterling invece, dopo esser stato riconosciuto e 'inchiodato' dalle telecamere, è stato licenziato dalla sua azienda e sospeso dal club (che gli ha ritirato l'abbonamento) insieme ad altri tre ultrà dei blues. Come se non bastasse durante il derby Arsenal-Tottenham un tifoso dei Gunners dagli spalti ha colpito con una bottiglietta di plastica (senza conseguenze) la stella degli Spurs Dele Alli, il tutto a Wembley, il 'tempio' del football inglese. A inizio dicembre invece un altro episodio di razzismo si era verificato tra le due stesse squadre: un sostenitore del Tottenham aveva lanciato una banana verso l'attaccante dell'Arsenal Aubameyang subito dopo un gol. Risultato: multa di 500 sterline e Daspo di 4 anni.

La grossa differenza in Inghilterra rispetto l'Italia consiste nella rigidità del sistema britannico in questi casi sia dal punto di vista giuridico che sportivo. Nel Regno Unito, gli atteggiamenti razzisti nel calcio hanno iniziato a diminuire dagli anni '80. Tuttavia, come evidenziato in una relazione della Camera dei Comuni del 2012, il problema resta comunque endemico nella società britannica. D'altra parte, il Regno Unito fornisce un esempio di innegabile successo nella lotta contro le discriminazioni nel mondo del calcio. La legislazione che regola il comportamento dei tifosi è particolarmente ampia. Una vasta gamma di azioni è già perseguibile come reati razzisti e religiosi. Originariamente il comportamento vietato e le sanzioni erano di natura generale, ma la peculiarità del razzismo nel mondo nel calcio ha portato i legislatori ad affrontare il problema in modo diretto. Sono stati quindi presi in considerazione atti/fatti molto specifici e sono state introdotte pene accessorie, oltre alle sanzioni tradizionali.

Una prima definizione di razzismo è contenuta nel Public Order Act 1986 (che introduce ulteriori emendamenti alla legge sugli eventi sportivi del 1985, incentrata sugli atti legati all'alcol): si tratta di "odio contro un gruppo di persone definito in riferimento al colore, alla razza, alla nazionalità (inclusa la cittadinanza) o all'origine etnica". Nella legge viene anche penalizzate tutta una serie di atti "destinati a scatenare l'odio razziale". In questo caso, un agente può arrestare un sospetto senza un mandato; e dopo un processo in tribunale, la condanna è un massimo di 7 anni di reclusione. Il crimine aggravato dal movente razziale è invece definito nel Crime and Disorder Act del 1998, che introduce anche il caso dei cori razzisti.

Inclusione e diversità sono invece trattati dall'Equality Act 2010 che affronta il problema delle disuguaglianze socioeconomiche e della discriminazione. Tra i concetti chiave, viene specificata la nozione di razza che include il colore, la nazionalità e le origini etniche. L'ordinamento giuridico del Regno Unito prevede anche una serie di disposizioni relative specificamente al calcio: gli ordini di esclusione furono introdotti nel Public Order Act del 1986, che si riferiva specificamente al caso di reati legati al calcio. Il Football Spectators Act del 1989 ha abrogato questa sezione della legge del 1986, ma ha salvato le principali misure ("ordine di esclusione", ora chiamate "ordinanze di divieto", con le quali la Corte potrebbe vietare alla persona condannata per determinati reati, incluso l'istigazione all'odio razziale, di entrare in qualsiasi locale per assistere a partite di calcio).

La legge sul calcio (Disorder) del 2000 ha abbandonato la distinzione tra ordinanze di divieto nazionali e internazionali e ha ampliato il numero di casi in cui possono essere imposte: ora possono essere comminate anche in assenza di condanna. Di conseguenza, la legge introduce divieti di viaggio. La violazione di un ordine di interdizione è considerata un "reato rilevante" e l'indagato può essere arrestato da un agente senza mandato. I reati rilevanti escludono il condannato dal diventare o dal continuare a far parte del sistema nazionale di adesione al calcio per cinque anni (se il reato prevede l'arresto immediato), due anni negli altri casi.

Due enti sono stati introdotti dalla legge del 1989: l'Autorità per l'appartenenza al calcio, che implementa il programma nazionale di adesione al calcio pensato per controllare l'ammissione degli spettatori alle partite, e l'Autorità per le licenze calcistiche, che concede una licenza per ammettere gli spettatori in qualsiasi locale per guardare le partite di calcio. La licenza può essere revocata o sospesa in determinate circostanze. I cori razzisti sono  considerati un "reato rilevante" nel Football (Offences) Act del 1991. L'obiettivo è quello di affrontare un problema specifico, cioè i cori razzisti di massa all'interno di campi da calcio della Premier League, della Football League o della Conference League. Gli atti "destinati a scatenare l'odio razziale" come definito nella legge del 1986 sono inclusi nella legge del 2000, se commessi negli stadi e in viaggio verso o da una partita (anche se l'autore del reato non aveva intenzione di partecipare).

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