Ma la donna sulla sua innocenza non ha dubbi: "Se li avessi avuti lo avrei lasciato, anche per tutelare i miei figli"

Faceva ricerche a sfondo sessuale sui due pc di casa. Cercava di tutto, dai filmati sadomaso a "come rimorchiare una ragazza in palestra". E lo faceva da sola o con il marito Massimo Bossetti, quasi in una sorta di gioco erotico tra loro. Ma non ha mai "fatto ricerche con la parola tredicenne". Ne è sicura Marita Comi, la moglie di Massimo Bossetti, che questo pomeriggio ha deposto al processo a carico del marito davanti alla Corte d'Assise di Bergamo.

Capelli lunghi castani, maglione e pantaloni neri e una sciarpa nera con dei disegni azzurri, Marita non si è scomposta quasi mai, nemmeno davanti alle domande dell'avvocato di parte civile Enrico Pelillo, che ha cercato di farle perdere la calma elencando tutte le ricerche osè fatte dai computer della famiglia Bossetti. Non ha saputo trattenersi, invece, il marito, che sedeva come sempre in prima fila, accanto ai suoi avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini. "È intollerabile, basta", è sbottato. Marita Comi ha spiegato anche che le domande insistenti che ha fatto al marito, nel corso di un colloquio in carcere, a proposito di alcuni coltelli erano mirate a capire se fosse sincero.

"Conosco mio marito,se non mi avesse detto la verità sarebbe crollato subito", ha sottolineato al donna. "Se avessi avuto dubbi sulla sua innocenza – ha aggiunto – lo avrei lasciato, anche per tutelare i miei figli". Marita ha anche spiegato perché, consigliata dall'avvocato Silivia Gattetti, che difendeva il marito nella prima fase delle indagini, ha deciso di buttare via un Opinel e un coltellino svizzero che i carabinieri, pur avendo perquisito più volte la casa di famiglia, avevano tralasciato.
"Con quei coltelli, che erano piccolissimi, temevo che Massimo avesse tagliato del fumo e per questo – ha spiegato – me ne sono liberata".

E se la mamma del muratore di Mapello Ester Arzufi e il fratello Paolo hanno preferito non rispondere alle domande in aula, avvalendosi della facoltà di non rispondere, qualche sorpresa l'ha riservata la testimonianza del cognato di Bossetti, Osvaldo Mazzoleni. Lui e l'imputato hanno lavorato praticamente sempre insieme dal 2009 al 2012 in due diversi cantieri a Palazzago e Bonate di Sopra, nel Bergamasco. L'uomo ha spiegato alla corte, presieduta da Antonella Bertoja, che nel dicembre 2010 aveva chiesto al cognato di "fargli un piacere" e andare a comprare un carico di sabbia per ultimare i lavori del marciapiede esterno della casa di Bonate.

Il dettaglio, ha spiegato Mazzoleni, gli è riaffiorato alla mente solo vedendo il servizio di "Quarto Grado" nel quale venivano mostrate alcune foto scattate dal progettista il 9 dicembre 2010, nelle quali c'era lo stesso Mazzoleni accanto a Bossetti, e l'agenda del professionista con il programma dei lavori eseguiti quel giorno. "Quella mattina ero dovuto scappare via, perché due persone, padre e figlio, dovevano venire a vedere una villetta nel cantiere di Palazzago che avevamo preso in permuta, con l'intenzione di venderla. Dovevamo finire il lavoro e ho chiesto a Massimo di farmi un piacere" e andare a comprare la sabbia, ma "non so dove sia andato a prenderla", ha spiegato l'artigiano in aula.

In mattinata, invece, la signora Alma Azzolin ha raccontato che mentre accompagnava la figlia agli allenamenti della sua squadra di ciclismo, alla fine dell'estate del 2010, aveva visto nel parcheggio del cimitero di Brembate una station wagon con a bordo un uomo "dagli occhi azzurri chiarissimi" che ha poi identificato come Bossetti e una ragazzina, che ha riconosciuto da una foto mostratale dai carabinieri che ritraeva Yara con i capelli sciolti.

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