Milano, 2 ago. (LaPresse) – “Non credo che faccia bene al ciclismo tornare a parlare della morte di Pantani, e che non faccia bene nemmeno a Marco. I suoi tifosi vorrebbero solo ricordarselo per il campione che era, non per quella tragica notte”. Il vincitore del Tour de France Vincenzo Nibali in un’intervista rilasciata a Vanity Fair ha parlato della riapertura del caso della morte del ‘Pirata’. “Non trovo giusto che a fare i processi siano i giornali. Ricordo che qualche anno fa venne fuori la notizia che Fausto Coppi non era morto per aver contratto la malaria in seguito a una puntura di una zanzara ma era stato assassinato; poi però si rivelò una bufala – ha proseguito il capitano dell’Astana – Lo stesso sta succedendo in questi giorni per il caso di Yara: hanno messo il prima pagina l’assassino e oggi mi sembra che non sia così certo che sia lui il colpevole. Dico solo che bisogna andare cauti con certe affermazioni che non fanno bene al ciclismo: si torna 16 anni indietro, mi chiedo dove si voglia arrivare”.

Nibali ha parlato poi del suo rapporto con il ‘Pirata’. “Quando è morto correvo già ma nei dilettanti. Lo vedevo in televisione, il giro che vinse nel ’98 è un mito per noi ciclisti, è stato uno dei miei idoli da ragazzino, insieme a Bugno, Chiappucci e Cipollini – ha raccontato il ciclista siciliano – Certo, Marco era diverso dagli altri, il suo carisma era fortissimo, abbiamo vissuto tutti la ‘pantanimania’: bandana, sella, occhiali, tutti volevamo essere come lui”. A proposito della sua morte, Nibali ha ammesso di essere rimasto “scioccato, all’inizio però si sapeva che era morto solo in albergo, mi colpì la tristezza della situazione – ha evidenziato – Solo dopo venne fuori che era stata un’overdose di stupefacenti a ucciderlo”.

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