Si tratta ad oltranza, ma un metodo condiviso per trovare la quadra c'è. Ancora in piedi anche l'ipotesi di un terzo uomo

Il 'contratto di governo' c'è, ora manca solo il nome del presidente del Consiglio. La trattativa tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini entra nella fase finale, quella decisiva, da cui dipendono gli equilibri del prossimo esecutivo a trazione M5S-Lega. Di nomi, in queste ore frenetiche, ne sono circolati molti, forse troppi, col rischio concreto che sparando nel mucchio ne siano stati 'bruciati' alcuni papabili.

Come palline in corsa, nella roulette di Palazzo Chigi hanno girato vorticosamente le candidature prima di Di Maio, poi di Giorgetti, a seguire del deputato 5S esperto di giustizia, Alfonso Bonafede, quello di Giulio Sapelli, successivamente di Vincenzo Conte (sussurrata all'orecchio del Colle come ipotesi nell'ultimo giro di consultazioni), del questore anziano della Camera, Riccardo Fraccaro, infine di Matteo Salvini e dell'ex direttore di 'Sky tg24' e oggi parlamentare pentastellato, Emilio Carelli.

Nei corridoi dei palazzi della politica, però, a taccuini chiusi, da diverse fonti di area M5S è trapelata una voce (insistente) su un metodo condiviso dai due protagonisti della fase politica attuale. In sostanza, la base di questo accordo prevederebbe che se a capo del governo andasse Di Maio, allora la squadra di governo sarebbe di 20 ministri e le deleghe di peso (Interno, Difesa, Lavoro, Economia) andrebbero alla Lega. Se, invece, a Palazzo Chigi sedesse un esponente del Carroccio (la figura individuata sarebbe quella di Giancarlo Giorgetti), i contrappesi sarebbero tutti in favore del Movimento, che potrebbero a casa anche un numero maggiore di dicasteri. Resta però in piedi anche l'ipotesi 'neutrale', con un terzo uomo gradito a entrambi gli azionisti del nuovo esecutivo. In questo caso Di Maio e Salvini entrerebbero nella partita per dare un valore politico alto alla squadra.

Su quale sarà la scelta finale, inciderà anche il compromesso che capo politico e segretario federale adotteranno su alcuni temi rimasti ancora aperti del 'contratto'. Finora l'intesa è stata raggiunta, tra l'altro, su euro (niente uscita né referendum, la linea sulla moneta unica sarà decisa di volta in volta con i partner europei), reddito di cittadinanza, flat tax, taglio drastico dei costi della politica con annessa riduzione del numero dei parlamentari e obbligatorietà dei vaccini. Resta da definire la linea sulla Ue, un punto dirimente, soprattutto per la Lega.

Soprattutto dopo che alla diffusione delle prime bozze del programma di governo, dai mercati sono arrivati segnali negativi. Lo spread è salito sopra quota 150 e la borsa ha perso il 2,3%. Finora sia Salvini che Di Maio mostrano tranquillità rispetto alle turbolenze della finanza internazionale, ma è chiaro a entrambi che se un esecutivo deve partire i tempi devono essere necessariamente brevi. O il cambiamento resterà una pagina non scritta del libro dei sogni.

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